A fronte delle molte imprese che delocalizzano c’è chi è disposto a trasferire capitali e risorse nella città eterna, come la multinazionale giapponese Minolta che aprirà un centro di ricerca nella zona sud-ovest. Al Tecnolopo Tiburtino arriverà invece Aruba
La lista delle imprese che hanno fatto armi e bagagli per delocalizzare le proprie attività in città diverse da Roma è lunga. Alcune lo hanno fatto per l’oggettiva difficoltà in cui si sono trovati a gestire spazi, logistica e prospettive di sviluppo. Altre hanno approfittato della situazione, per liberarsi di parte delle risorse umane, nella naturale aspettativa che i soggetti più maturi, guarda caso i più cari, tengono famiglia e così maggiori ostacoli a spostarsi. Ma occupiamoci ora di chi non c’era e ha invece deciso di stabilirsi nell’Urbe. Già, tra tanti che vanno, c’è chi di recente vi si è insediato: nomi noti, soprattutto traiettorie aziendali interessanti.
Dopo la Baviera, Londra e Brno, nasce a Roma un centro di ricerca della Konica Minolta, multinazionale giapponese che ha riunito sotto uno stesso tetto marchi celebri nel mondo delle tecnologie delle immagini: dalla fotografia di una volta e la fotoriproduzione ai sistemi per l’industria e la diagnostica di oggi. Il centro impiegherà a regime cento ingegneri e ricercatori cui far sviluppare nuove soluzioni di intelligenza artificiale, robotica e sensori per i lavori e processi industriali del futuro. Sede in Via Pavese, quadrante sud-ovest della città, dove già “abitano” altre grandi aziende nei servizi finanziari e digitali. Ad est, invece, e precisamente al Tecnopolo Tiburtino.
Circa 74mila metri quadri di superficie sono stati prenotati dalla toscana Aruba, società di web hosting. Si tratta del suo quarto data center italiano: un progetto da trecento milioni di euro, in cinque anni, e duecento nuovi occupati. Ingegneri informatici e sviluppatori cercansi per la gestione di dati e servizi cloud nel campus da realizzarsi, secondo i massimi standard di qualità e resilienza infrastrutturale, integralmente alimentato da energie rinnovabili. Dato non banale, visti i livelli di elettricità che i data center consumano. La notizia più bella, però, è la ragione, citata con enfasi dai manager delle due aziende, che, più di ogni altra, li ha spinti a insediarsi a Roma. Ebbene, il fattore chiave per giapponesi e italiani è stata la quantità e qualità di talento in loco, da assumere o tenere connesso a breve distanza, quella che separa le due zone industriali dalle ottime università romane. Tanto che, per non mancar di retorica, ma anche di concretezza, auspichiamo che quella distanza possa essere coperta più velocemente possibile, in tutti i sensi, perché il talento circoli liberamente e, sempre più, possa scegliere di farlo dov’è cresciuto o si è formato. Intanto, stavolta non c’è di che crucciarsi. Non si inaugura l’ennesimo centro commerciale o attività, in apparenza innocua, che poi divora i pesci più piccoli del territorio.
Era ora di notizie così per la Capitale che fanno sperare in ulteriori investimenti del genere. Alla città servono aziende che si nutrano delle competenze pregiate che oggi faticano a trovare una collocazione in patria. Si creino ponti, si stendano fibra ottica e binari, nel vero senso della parola, perché non indugino le altre imprese che vogliono mettere a frutto la nostra meglio gioventù, per realizzare tecnologie e processi innovativi, sale dell’economia contemporanea. Se ci sarà una Roma futura è perché avrà percorso strade evolute. Lo pensarono gli antichi consoli per raggiungere nuovi universi. Ne hanno bisogno gli attuali per riportare a Roma il mondo presente.
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